Non si potrebbe comprendere la storia contemporanea di Savona senza aver analizzato quella delle sue industrie, soprattutto quelle legate all’energia che sembrano essere giunte in una fase cruciale delle loro vicende. Da tempo Marcello Penner si è dedicato alle industrie locali: in particolare il suo ultimo lavoro è dedicato proprio a quelle carbonifere, traendone un articolo, intitolato L’industrializzazione della Valle Bormida e le Funivie durante il secondo conflitto mondiale, di cui riportiamo un ampio stralcio, che uscirà nel volume 53 (2017) della nuova serie di Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria.

1 Montecatini

Cairo Montenotte (Sv), Stabilimento Montecatini e Cokitalia, anni 1939 – 1942

(…) La dura crisi economica, dopo il venerdì nero di Wall Street dell’ottobre 1929, raggiunge in Italia le conseguenze più disastrose dopo la metà del 1930 e viene contrastata con una manovra governativa di salvataggio delle imprese che porta all’istituzione dell’Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale); superata la crisi, si affacciano sulla scena economica del savonese società come la Montecatini e la Società Italiana per il Gas, la seconda già proprietaria dello stabilimento di Savona e Vado Ligure per la Lavorazione dei Carboni Fossili.

La Società Italiana per il Gas ha necessità di aumentare la produzione della cokeria di Vado Ligure ma, per farlo, ha bisogno di ingrandire l’insediamento industriale; la scarsità di aree nel comune litoraneo fa concentrare l’attenzione verso la zona di Bragno, nel comune di Cairo Montenotte. Nello stesso periodo la Montecatini intende avviare uno stabilimento in Liguria per la produzione di concimi azotati. Le due società, con i loro investimenti, tra il 1935 ed il 1936 realizzano i due stabilimenti nell’area di Bragno, la Cokitalia e la Montecatini azoto; come prodotto finale delle lavorazioni, la prima produrrà il carbone coke mentre, la Montecatini, un semilavorato per altre produzioni. Per la costruzione dei due stabilimenti è necessario arginare il fiume Bormida, deviando un tratto del suo corso per circa due chilometri, mediante la costruzione di una diga di sbarramento che dà luogo ad un invaso artificiale della capacità di 75.000 metri cubi.

La scelta del sito non è casuale, in quanto i due stabilimenti sono realizzati contigui alla stazione funiviaria di San Giuseppe di Cairo, dove è possibile approvvigionarsi del carbone necessario per la produzione del coke. La necessità di trasportare grandi quantità di carbone dal porto di Savona alla Cokitalia, ha come conseguenza la costruzione della seconda linea funiviaria ed il collegamento diretto con la Cokitalia. La seconda linea entra in esercizio il 24 marzo 1937 ed a fine anno le Funivie raggiungono per la prima volta il traguardo di oltre un milione di tonnellate annue trasportate, mantenendolo fino al 1939. Ma l’aumento dei traffici è dovuto anche a ragioni di convenienza economica: una tonnellata di fossile sbarcata e trasportata dalle Funivie, successivamente inoltrata fino a Torino, presenta un costo inferiore rispetto ad una tonnellata sbarcata in calata e trasportata direttamente via ferrovia (40,65 lire contro 42,31 lire).

L’importanza delle Funivie Savona – San Giuseppe è tale che, nel 1941, il presidente del Consorzio Autonomo del porto di Genova, Federico Negrotto Cambiaso, propone di costruire una linea funiviaria da Genova verso la valle del Po, collegandola con la rete idroviaria. Forte della sua esperienza trentennale, la società delle Funivie sviluppa il progetto preliminare che prevede un impianto di sbarco a Ponte Rubattino, con una potenzialità di 5 milioni di tonnellate annue, una linea di circa 35 chilometri, un parco deposito ad Arquata Scrivia, di un milione di tonnellate a terra e di cinquantamila tonnellate a silos e, infine, un parco ferroviario in grado di spedire mille vagoni al giorno. La proposta resta solo a livello progettuale: probabilmente gli eventi bellici in corso bloccano ogni successiva iniziativa e con l’inizio della seconda guerra mondiale i traffici calano fino a ridursi, durante il conflitto, a poco più di seimila tonnellate nel 1943 ed a 12.245 tonnellate l’anno successivo.

Durante il periodo bellico l’impianto funiviario non patisce alcun danno causato da bombardamenti alleati, a differenza del resto del porto di Savona e degli stabilimenti vicini, come l’Ilva, che subiscono danneggiamenti così pesanti da comprometterne il funzionamento. Non si tratta di un caso fortuito: il salvataggio degli impianti funiviari avviene grazie ai contatti con gli alleati di Isidoro Bonini (direttore generale delle Funivie dal 1934 al 1948, direttore Generale dell’Italgas dal 1949 e presidente dell’Iri dal 1950 fino al 1955), antifascista, facente parte del Comitato di Liberazione Nazionale. Durante il periodo autarchico, Bonini viene accusato dai sindacati fascisti di atteggiamenti antisindacali e antioperai poiché non concede quanto da loro richiesto ma, soprattutto, perché non iscritto al Partito Nazionale Fascista. Durante la guerra le stazioni funiviarie sono oggetto di furti da parte di formazioni partigiane, relativamente ad attrezzature e generi alimentari, tuttavia non subiscono nessun atto di sabotaggio né di ferimento dei lavoratori presenti al momento dei fatti.

Senza dubbio l’infrastruttura delle Funivie è considerata di notevole importanza per la ripresa delle attività produttive: in una regione in cui linee ferroviarie e strade sono fortemente danneggiate, resta l’unico mezzo di trasporto veloce ed efficace per convogliare merci oltre Appennino, come testimoniato anche nel rapporto redatto il 9 giugno 1945 dal maggiore Vivian Robert Johnston (del S.O.E. britannico) relativamente alla sua missione in Italia (in Liguria dal 23 marzo 1945, era già stato sull’Appennino emiliano con la missione Envelope dal giugno al dicembre 1944), chiamata in codice “Indelible/ Cotulla III”. (…)

Marcello Penner

 

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