Lo scorso anno, Flavio Menardi Noguera ci descrisse Narbona, villaggio della valle Grana senza strade dove i contadini raggiungevano i loro piccoli campi con i ramponi. La positiva accoglienza presso i nostri soci ed amici ci ha spinto ad invitarlo di nuovo perché approfondisca il tema delle comunità isolate presentandoci nuove affascinanti ricerche.

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Narbona è una borgata di Castelmagno, collocata in uno spettacolare vallone, su un crinale ripidissimo, in posizione riparata delle valanghe che durante l’inverno la isolano dal mondo per molto tempo. Non è mai stata raggiunta da una strada (solo due arditi sentieri la collegavano alle altre frazioni) né dall’energia elettrica. Popolata per molti secoli, qualcuno sostiene sia stata fondata dai Catari, fino a raggiungere i 154 abitanti, è stata abbandonata definitivamente nel 1960, ed ora è in rovina pressoché completa.

Si tratta di un esempio eccezionale di adattamento a condizioni di vita estreme (per la pendenza dei terreni le mucche non potevano pascolare e rimanevano segregate nelle stalle tutto l’anno e i Narbonesi per fare il fieno si mettevano alle scarpe i ramponi). Se vivere in montagna non è mai stato facile, a Narbona era un’impresa tanto che, nella valle, si diceva: «Se vos saber aco qu’es l’enfèrn deves anar a l’Arbouna l’uvèrn!» (Se vuoi sapere cos’è l’inferno devi andare a Narbona d’inverno).

La borgata, anche se sfigurata dai crolli, sprigiona un fascino singolare, tanto che è ricordata in diversi libri dedicati ai cosiddetti “villaggi fantasma” ed è citata nel bel saggio di Antonella Tarpino, “Il paesaggio fragile” (di recente edito da Einaudi). Negli ultimi due anni, sono stati pubblicati saggi, articoli e due libri ad essa interamente dedicati.

Questo fervore editoriale si spiega con il rinnovato interesse per le nostre montagne, per la civiltà alpina del passato, di cui questa frazione, misteriosa e un po’ mitica, può essere presa a splendido esempio, e con la mobilitazione di un gruppo di studiosi, ricercatori, appassionati riuniti attorno al progetto “Una casa per Narbona” che si propone di salvare tutto il salvabile (la memoria almeno) dell’antico insediamento.

Il gruppo, molto attivo, ha organizzato numerose incontri di studio, proiezioni, presentazioni di libri, mostre (anche in collaborazione con la Fondazione Nuto Revelli di Cuneo) e ha realizzato un Museo etnografico dedicato alla frazione, nel capoluogo Campomolino. Il lavoro prosegue e, dopo aver salvato dal crollo nel 2014 la chiesetta di Narbona, dedicata alla Madonna della Neve, si progetta ora la realizzazione di un “rifugio” di tipo molto particolare che accoglierebbe i visitatori in cerca di silenzio, raccoglimento, concentrazione, immersione nella natura, insomma i seguaci del turismo “dolce e profondo”.

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Il libro Spirito Arneodo di Spirito di Spirito… la più antica ‘voce’ di Narbona. Come viveva a Narbona una famiglia di nove persone più di un secolo fa? Cosa comprava? Cosa produceva? Quali strategie adottava per affrontare le difficoltà della vita che certo non mancavano in uno degli insediamenti più audaci dell’intero arco alpino?

Ce lo racconta un abitante della famosa frazione di Castelmagno, Spirito Arneodo (1844-1904), attraverso la sua agenda, ritrovata nel 1988, nella sua casa ormai in rovina, da Marco Allocco che l’ha poi donata al Museo “Casa Narbona”. Le “Memorie” contenute in questo documento, coprendo un arco temporale di quattro anni (1900-1904), ci regalano uno spaccato di vita sorprendente, che dalla borgata “impossibile” si allarga alla Valle Grana e si proietta ben oltre, con i tratti di una storia esemplare.

Flavio Menardi Noguera

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