Si intitola Le Bormide e la fabbrica un volume di Sandro Gentili appena pubblicato, patrocinato dalla Società Savonese di Storia Patria. Di seguito si riporta un ampio stralcio della prefazione, curata da Carmelo Prestipino; le fotografie a corredo sono inedite e tratte dall’Archivio Fotobella.

La posizione geografica delle valli delle Bormide, collocate alle spalle dello spartiacque montano – ultima propaggine del sistema alpino e barriera naturale rispetto alla costa ligure – ha fatto sì che la sua storia fosse condizionata da uno sviluppo preindustriale dai secoli XV sino al XIX, con la presenza delle ferriere e delle vetrerie, favorite dalla ricchezza boschiva e dai torrenti – generatori di forza motrice – di notevole importanza. Il secolo successivo ha visto poi lo sviluppo di una imponente industrializzazione, favorita dall’accesso al mare attraverso la linea ferroviaria, fondamentale per uno sviluppo economico che è giunto sino alla fine del Millennio, per poi collassare in maniera disastrosa in tempi recenti.

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Cairo Montenotte, Forni Cokitalia, inizio anni Sessanta (Archivio Fotobella)

In estrema sintesi, questa parrebbe la vicenda storica delle valli delle Bormide in un lasso di tempo che Sandro Gentili definisce “secolo lungo della fabbrica”; in realtà questo quadro semplificato cela una notevole complessità: in un territorio abbastanza circoscritto si sono evolute vicende importanti, come la quasi definitiva cancellazione della cultura contadina e la nascita di realtà come gli agglomerati urbani attorno alle grandi fabbriche, la nascita delle Società Operaie in terre dal passato rurale, la sperimentazione forzata del lavoro femminile nelle fabbriche, lo spostamento di nuclei familiari dalle terre d’origine all’hinterland della fabbrica e – non ultima – l’affermazione di una singolare figura: l’operaio- contadino, tipica delle nostre fabbriche, per chiudersi poi con il crollo del polo della chimica sotto il peso di una crisi economica aggravata dal fattore ambientale. Un quadro oltremodo complesso, un autentico laboratorio che appare già anticipatore di tante tematiche oggi al centro dell’attenzione, che l’autore affronta con la sensibilità che gli viene anche dalla sua origine valbormidese, quindi da una formazione mentale radicata in questa realtà, che egli ben conosce. (…)

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Dego, cantiere Vetr.I, inizio anni Sessanta (Archivio Fotobella)

In questo quadro Gentili porge attenzione anche ad un fattore di non minor rilievo: la manodopera, che da agraria si è ormai evoluta in una figura (che si conserverà per più di un secolo) di operaio ancora un po’ contadino, ormai maturo per una maggior coscienza di classe, per la formazione di una mentalità ormai lontana dagli antichi ritmi e riti della terra, dalle condizioni obbligate delle stagioni e delle avversità atmosferiche, in grado di incidere sulla quotidianità con le loro manifestazioni, dalle siccità alle gelate ed alle piogge torrenziali.

Opportunamente l’autore colloca in questo momento un aspetto che sarà poi determinante per caratterizzare la “modernità”: l’azione dell’uomo a modificare la regimazione delle acque, piegandone il corso alle esigenze dell’industria. L’inizio di una azione che avrà poi conseguenze pesantissime per l’ambiente valbormidese: lo sviluppo pieno della chimica, realizzato con modalità in cui l’ambiente naturale perdeva ogni valore a fronte delle necessità di sviluppo dell’industria.

In altre parole: la cancellazione dell’antica cultura contadina ed agraria, che esce piegata dal nuovo sviluppo e perde ogni punto di riferimento, anche territoriale, con l’accentuarsi dei movimenti migratori locali dalle alte valli ai centri vicini alle fabbriche, rallentato e mitigato parzialmente soltanto da quella antica caratteristica dell’operaio-contadino, che si mostra restìo ad abbandonare del tutto le terre degli avi. (…)

Importante, inoltre, l’iconografia a corredo, con materiali fotografici in gran parte inediti e soprattutto molto significativi per la documentazione di un apparato industriale che si è poi evoluto, per scomparire ormai quasi del tutto. (…)

Carmelo Prestipino

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